{"id":54,"date":"2023-07-27T22:01:13","date_gmt":"2023-07-27T20:01:13","guid":{"rendered":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/?page_id=54"},"modified":"2023-07-28T11:39:55","modified_gmt":"2023-07-28T09:39:55","slug":"2-il-fabbricone","status":"publish","type":"page","link":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/2-il-fabbricone\/","title":{"rendered":"2. Il fabbricone"},"content":{"rendered":"\n

<\/p>\n\n\n\n

a cura del prof. Crivello<\/p>\n\n\n\n

Un grande opificio tessile per oltre mezzo secolo di attivit\u00e0<\/p>\n\n\n\n

     Il tessile storico poirinese \u00e8 identificabile in due serie di opifici ed attivit\u00e0: una dozzina circa di ditte artigianali o poco pi\u00f9 ormai tutte chiuse ad eccezione di una, ed IL FABBRICONE, un grande opificio attivo negli ultimi decenni dell\u2019Ottocento fino al 1932, poi temporaneamente utilizzato per varie destinazioni, ancora oggi esistente come edificio di archeologia industriale. In questo servizio ci occupiamo del FABBRICONE, ricostruendo le attivit\u00e0 tessili che vi si svolsero ad iniziativa delle famiglie Melano prima e Vastapane poi nonch\u00e9 l\u2019evoluzione edilizia dello stesso.<\/p>\n\n\n\n

L\u2019EPOCA DEI MELANO<\/p>\n\n\n\n

     Dal 1840 operava in Poirino una ditta tessile intestata a GIOVANNI BATTISTA MELANO per la fabbricazione, con telai a mano, di tessuti di cotone grezzo, bianchi e colorati, e di tovagliati in lino. Otto anni dopo la Casa era in grado di produrre su larga scala le tele spigate, le tele russe per usi militari sia a quadri sia a righe, e le tele di lino (da una brochure dell\u2019anno 1900). Nell\u2019anno 1852 Giovanni Battista Melano acquis\u00ec il sito con i fabbricati esistenti posto lungo la via Maestra (ora via Indipendenza, gi\u00e0 Route de Turin a Parme), sito corrispondente all\u2019attuale Fabbricone ma allora suddiviso in varie propriet\u00e0, delimitato dalla via della Rittana (via Arpino) e via del Gallo (via Verdi); il vicolo Martiri della Libert\u00e0 ancora non esisteva se non per met\u00e0 in quanto la parte verso via Arpino era occupata da piccoli fabbricati che saranno successivamente acquisiti dai Melano e successori. <\/p>\n\n\n\n

     Dal catasto napoleonico e dai successivi passaggi di propriet\u00e0 emergono diverse propriet\u00e0 in quel sito (foto n. 1): Cigna Santi, Capello, Calleri, con ampi spazi inedificati e poche costruzioni tra cui due edifici contigui affacciati sulla via Maestra. I Melano procedettero ad una radicale ristrutturazione sia dei fabbricati esistenti lungo la via Maestra sia degli spazi inedificati per realizzare un grandioso opificio di cui sono testimonianza un atto notarile del 1872 ed una fotografia risalente a fine Ottocento.  L\u2019atto notarile del 1872 riconosce le propriet\u00e0 dei signori Melano cav. Giovanni fu Gio Battista, Dassano Antonio fu Maurizio, Carasso Luigi e Gennero Sebastiano: in via Maestra 58 una casa civile, otto magazzini, una cantina terrena, tre sottotetti, cortile, fabbrica di telerie con due macchine a vapore della forza di 16 e 20 cavalli, due tettoie, gran saloni, cortile e giardino. La fotografia (n. 2) scattata dall\u2019area dei Cappuccini presumibilmente negli anni Settanta  dell\u2019Ottocento, evidenzia la facciata interna del grande edificio posto sulla via Maestra; su di esso si staglia una alta ciminiera attorniata da bassi fabbricati.<\/p>\n\n\n\n

     La famiglia di Giovanni Battista Melano, nonostante fosse costituita da tre figli maschi, non ebbe molta fortuna ai fini della discendenza: il primogenito, Antonio (1821 \u2013 1859), premor\u00ec al padre a soli 38 anni ma lasci\u00f2 eredi due figlie; il secondogenito, Giovanni Battista come il padre (1825 \u2013 1884) visse pi\u00f9 a lungo (59 anni) ma con lui si chiuse la partecipazione alla ditta di famiglia; il terzogenito, Camillo (1833 \u2013 1875) mor\u00ec a soli 42 anni. Le sorti della fabbrica furono proseguite dai signori Giovanni Antonio Dassano (1840 \u2013 1920) e Luigi Carasso che sposarono rispettivamente Marianna e  Margherita Melano, figlie di Antonio. Questi nell\u2019anno 1886 costituirono la Societ\u00e0 Dassano e Carasso dopo aver acquisito le quote degli altri eredi Melano.<\/p>\n\n\n\n

     Delle vicende delle famiglie Melano ed eredi e delle loro ditte al momento abbiamo informazioni limitate e sparse che riportiamo come elementi per poter poi ricostruire una dinamica pi\u00f9 completa se sar\u00e0 rinvenuta altra documentazione. Di Antonio Melano, lo sfortunato primogenito morto a soli 38 anni, una significativa iscrizione presente nella tomba di famiglia in Poirino celebra le virt\u00f9 imprenditoriali e commerciali: Nell\u2019arte tessile peritissimo coadiuv\u00f2 potentemente \/ a far note in vicine e lontane regioni i prodotti del paese nat\u00eco \/ Fonte di benessere alle classi lavoratrici \/ cui prest\u00f2 valido aiuto \/ di soccorso e di lavoro.<\/em>  La lapide di famiglia dedicata al secondogenito Giovanni Battista Melano ricorda il suo ruolo di adorato padre<\/em> ma una corona lapidea posta a fianco a cura della Societ\u00e0 Operaia nell\u2019anno 1884 definisce Giovanni Melano insigne benefattore <\/em>(sappiamo che fu lui ad aiutare il giovane aspirante pittore poirinese Paolo Gaidano a frequentare l\u2019Accademia Albertina di Torino). Anche la famiglia Dassano, che continu\u00f2 l\u2019attivit\u00e0 tessile, ha la tomba di famiglia al cimitero di Poirino ove riposa Giovanni Antonio Dassano (1840 \u2013 1920) insignito del titolo di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro<\/em> e della seguente epigrafe: Di bont\u00e0 probit\u00e0 e industre lavoro \/ esempio adorato in vita rimpianto in morte.<\/em><\/p>\n\n\n\n

     La gi\u00e0 citata brochure dell\u2019anno 1900 ci fornisce altre preziose informazioni sulla evoluzione della ditta Melano. Nell\u2019anno 1865 i telai che lavoravano per conto della ditta avevano raggiunto la notevole cifra di circa 800; dal 1882 furono installati i primi telai meccanici. Numerosi riconoscimenti ottennero i prodotti della ditta durante le grandi Esposizioni Italiane ed Europee (Firenze 1861, Torino 1868 e 1870, Vienna 1873, Chieri 1880, Torino 1884, Palermo 1891, Torino 1898). La nuova gestione Dassano e Carasso, avviata nel 1885, port\u00f2 ad un aumento considerevole dei telai meccanici, pur conservando un certo numero di telai a mano, e si dedic\u00f2 con successo alla produzione di tessuti tinti di cotone. Grande attenzione venne posta alla esportazione con recapiti in Berlino, Amburgo ed ovviamente in Parigi ove era depositata la collezione completa della produzione.<\/p>\n\n\n\n

     Come si presentava nell\u2019anno 1900 lo stabilimento? (foto n. 3) Un disegno riprodotto nella citata brochure ci rappresenta una panoramica dello stabilimento, visto probabilmente dal campanile. In primo piano un inconfondibile tramway che trainava una carrozza per passeggeri ma anche due carri carichi di merci. Sulla via Maestra prospetta il grandioso edificio a due piani con tre ingressi, un seminterrato ed un solaio; ad ovest sulla attuale via Martiri era gi\u00e0 delineata una manica del futuro fabbricone, poi vari fabbricati all\u2019interno del sito ma fondamentale era l\u2019opificio con le coperture a sheed presente nella zona sudest, accompagnato da una alta ciminiera fumante.<\/p>\n\n\n\n

     Negli anni successivi (1901-1908) attraverso diversi atti notarili Dassano e Carasso acquisirono altre piccole propriet\u00e0 (casette e cortili) nell\u2019area ovest (via Arpino) onde completare il quadrilatero che risulta meglio delineato in un disegno risalente agli anni Dieci riprodotto sul certificato azionario della MANIFATTURA DI POIRINO. In effetti la ditta Dassano & Carasso, Successori di Melano Giovanni Battista e figli, denominata Fabbrica Telerie Mantilerie in Poirino, con un deposito in Torino in via Carlo Alberto, nell\u2019anno 1906 con un atto notarile divent\u00f2 MANIFATTURA DI POIRINO, societ\u00e0 anonima per azioni, con un capitale di un milione di lire interamente versato, costituito da 4.000 azioni di 250 lire ciascuna; ne era amministratore delegato Luigi Carasso, presidente Giulio B\u2026 (non leggibile)<\/em><\/p>\n\n\n\n

     Certamente furono avviati nuovi lavori di sistemazione dello stabilimento che nel succitato disegno (foto n. 4) risulta ormai un quadrilatero delimitato da tre maniche di edifici contigui; rimangono gli sheed, la ciminiera ed alcuni fabbricati in centro. Sappiamo per\u00f2 che la Manifattura di Poirino entr\u00f2 per\u00f2 rapidamente in crisi, interruppe la produzione intorno al 1914 e venne progressivamente liquidata negli anni successivi. Le cause precise di questa dinamica al momento non ci sono note; sappiamo dalla Relazione di chiusura dei liquidatori che l\u2019ultima Assemblea degli azionisti, tenutasi il 24 novembre 1919, aveva prescritto di distribuire solo l\u20198% del valore nominale delle azioni (lire 80.000 su un milione); che essi avevano cessato l\u2019esercizio del deposito di Torino liquidando la merce, provvedendo alla liberazione del locale ed al licenziamento del personale e che avevano riscontrato notevoli difficolt\u00e0 nel chiudere la Ditta.<\/p>\n\n\n\n

     Dalla Manifattura la propriet\u00e0 del Fabbricone nel corso dell\u2019anno 1918 pass\u00f2 ai signori Fabaro Tommaso, Scaglia Antonio e Minelli Matteo acquisitori in comunione. <\/em>Poco dopo con rogito del 14 agosto 1918 la propriet\u00e0 pass\u00f2 al cav. Giacomo Vastapane.<\/p>\n\n\n\n

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Lavoro, proteste e scioperi<\/p>\n\n\n\n

     Non sappiamo di preciso quanti fossero gli addetti della Tessitura Melano: sulla base di indizi possiamo ipotizzare alcune centinaia, prevalentemente donne. Abbiamo per\u00f2 informazioni certe di una serie di proteste e scioperi verificatisi negli anni Settanta, Ottanta e Novanta dell\u2019Ottocento; dai documenti, in particolare atti comunali, emergono la preoccupazione primaria di mantenere l\u2019ordine pubblico anche con il ricorso alla forza, un sostanziale allineamento dell\u2019Autorit\u00e0 pubblica con gli interessi della propriet\u00e0, una limitata attenzione per le questioni sollevate dai lavoratori. <\/p>\n\n\n\n

     In una delibera di Giunta del 7 aprile 1874 \u201cEspone il sig. Sindaco che gli operai tessitori di questo Comune essendosi associati per fare sciopero nel giorno trenta p.p. marzo ad oggetto di farsi aumentare la paga dal loro principale Melano Giov.i  Batt.a e Figli, se ne temevano serie conseguenze pell\u2019ordine pubblico, per cui si credette bene di chiedere alla Questura di Torino un rinforzo alla Stazione di questi R.li Carabinieri ed un drappello di Guardie di Pubblica Sicurezza\u2026 <\/em>per cui il Comune deve farsi carico delle spese di vitto di detto rinforzo salvo a chiederne il rimborso in tutto od in parte dalla predetta Ditta Melano, attesoch\u00e8 le medesime furono causate sia per tutelare l\u2019ordine pubblico che gli interessi della Ditta stessa.<\/em><\/p>\n\n\n\n

     Il 31 gennaio 1880 presso la Giunta \u201cCirca 30 operai in mantileria lamentansi che i loro principali, Ditte Melano Gi\u00f2 Batt.a e Figli e Maina fratelli hanno diminuito il prezzo della loro opera e vorrebbero ridurlo nuovamente; chiedono quindi che il Comune s\u2019interessi perch\u00e9 ci\u00f2 non avvenga, altrimenti essi non potranno pi\u00f9 ricavare di che vivere, e specialmente in quest\u2019anno che ogni derrata aument\u00f2 di prezzo\u201d<\/em> Il Comune ascolta le ragioni degli imprenditori \u201cil sig. Gennero, uno dei soci della Ditta Melano e uno dei fratelli Maina \u2026 hanno risposto che sono costretti a ridurre la fattura perch\u00e9 i fabbricanti degli altri Comuni danno la merce a minor prezzo, e che malgrado abbiano ridotto il loro beneficio ai minimi termini, pur tuttavia dichiarano di essere stati costretti a ribassare le fatture, e che perci\u00f2 non avrebbero via di mezzo se non quella di rinunziare alla fabbricazione della mantileria, tanto pi\u00f9 che hanno pieni i magazzini. Dichiarano che ove a taluno operaio non convenga lavorare in mantili, loro darebbero a lavorare in tela\u201d<\/em>. Per cui, richiamati \u201cli Vacca Domenico e Delbosco Battista (che furono quelli che presentarono il memoriale) loro si fece conoscere le ragioni addotte dai loro principali e dopo varie osservazioni e spiegazioni promisero di portarsi al lavoro unitamente ai loro compagni persuasi di avere fra non molti giorni una risposta definitiva\u201d<\/em><\/p>\n\n\n\n

     Negli anni Novanta le tensioni sociali e politiche in Italia crebbero con la formazione del Partito Socialista e dei primi sindacati da un lato, di governi autoritari (Crispi, Di Rudin\u00ec, Pelloux) dall\u2019altro. Riflessi di queste tensioni si ebbero anche nella nostra tranquilla Poirino: una lettera urgente riservatissima<\/em> della Prefettura di Torino inviata al Comune in data 24 aprile 1890 sulla imminente ricorrenza del Primo Maggio, invitava ad indagare e a riferire se gli operai di codesto Comune intendano prendere parte a simile affermazione ed in quale forma. <\/em>Si raccomandi ai capi di stabilimenti industriali di tenere aperti gli opifici quel giorno e si prendano gli opportuni accordi con l\u2019Arma dei RR.i Carabinieri per la tutela dell\u2019ordine pubblico, tenendo per norma che non devono assolutamente permettersi in quel giorno processioni e passeggiate collettive sulle vie e piazze pubbliche, o assembramenti o riunioni in luoghi pubblici che avvenissero allo scopo di concorrere alla manifestazione indetta per quel giorno. Gradir\u00f2 una sua relazione in proposito colla massima sollecitudine.<\/em><\/p>\n\n\n\n

Qualche tempo dopo, il 5 settembre 1894, il Questore scriveva  una lettera riservata al Sindaco avente ad oggetto Contro i partiti sovversivi: \u201cTaluni individui nell\u2019intento di sovvertire le masse operaie ed insinuare massime contrarie alle vigenti istituzioni, anche nelle tranquille popolazioni delle campagne, si recano nei Comuni di questo Circondario e sorprendendo talune volte la buona fede dei Presidenti delle Societ\u00e0 Operaie ottengono i locali occorrenti per tenervi conferenze insidiose al rispetto delle Leggi. Debbo prevenire che codeste riunioni e conferenze cadono sotto le sanzioni dell\u2019art\u2026..  Ove la S.V. avesse preventiva notizia dell\u2019arrivo dei ridetti conferenzieri, che talune volte si spargono per le campagne in isquadre, si compiacer\u00e0 avvisare subito l\u2019Arma dei Reali Carabinieri per la tutela dell\u2019ordine, e l\u2019esecuzione delle richieste che la S.V. reputasse di fare onde impedire ai sovvertitori di esplicare la loro azione a dispetto delle Leggi. Gradir\u00f2 dalla S.V. un cenno di ricevuta della presente.\u201d<\/em><\/p>\n\n\n\n

     Ma dalla comunit\u00e0 di Poirino emergevano anche voci responsabili e solidali con le pesanti condizioni di lavoro degli operai, in particolare delle tessitrici. Il giovane avvocato Ernesto Barberis (Sindaco di Poirino nel secondo dopoguerra) scriveva una bella lettera al quotidiano La Gazzetta del Popolo il 30 marzo 1895, lettera in cui da un lato riconosceva il positivo apporto delle fabbriche di telerie al paese \u201coffrendo un sicuro assegnamento a tante famiglie che dall\u2019industria della tela traggono di che vivere<\/em>\u201d ma dall\u2019altro denunciava anche le pesanti condizioni di lavoro che ponevano a rischio la salute delle giovani tessitrici: \u201cda un po\u2019 di tempo in qua in quest\u2019opificio industriale l\u2019orario di lavoro quotidiano fu allungato per modo (e va crescendo ogni giorno), che gi\u00e0 pi\u00f9 di una volta si ebbe qualche rimostranza da parte degli operai e specie delle ragazze, che ne costituiscono il maggior numero. Una giornata di lavoro effettivo, che dura dalle ore 6 e mezzo del mattino (che fra giorni diverranno le 6) fino alle 8 di sera, con un\u2019ora solo di riposo per il pasto meridiano, \u00e8 eccessiva per qualsiasi operaio, ma \u00e8 davvero enorme per delle ragazze, la cui et\u00e0 varia dai 12 ai 20 anni al pi\u00f9: dodici ore e mezzo di lavoro il giorno (che fra poco saranno tredici), di cui sette consecutive, dall\u2019una alle otto pomeridiane, in un luogo chiuso e in mezzo ad un rumore assordante di macchine e di telai, non devono favorire troppo lo sviluppo organico di queste fanciulle, che si preparano appunto a diventare donne. N\u00e9 mi si dica che il lavoro delle fanciulle non \u00e8 cos\u00ec gravoso materialmente, essendo esse per la massima parte addette ai telai meccanici: \u00e8 cosa ammessa da tutti i fisiologi che non soltanto il soverchio lavoro non solare stanca e logora l\u2019operaio, ma anzi quel consumo di energia nervea, che nel nostro caso sarebbe prodotto da un lavoro di attenzione intensa e continua  per accudire al buon andamento del telaio meccanico, riesce, se eccessivo, molto pi\u00f9 dannoso per i teneri organismi giovanili. Aggiungete di pi\u00f9 la mancanza di aria libera e viva, le esalazioni pi\u00f9 o meno gradite, una disciplina abbastanza ferrea che non permette alle ragazze di appoggiarsi un sol momento o di scambiare una parola colle vicine, pensate alla naturale delicatezza del sesso femminile e non vi meraviglierete pi\u00f9, se la sera, specie nel cuor della state, voi vedrete quelle ragazze uscire dall\u2019opificio, dopo una giornata di tredici ore di lavoro, coll\u2019aspetto stanco, col corpo striminzito e senza quella naturale pompa e freschezza che tanto conferisce alla belt\u00e0 giovanile.<\/em><\/p>\n\n\n\n

E, come \u00e8 naturale, da questo pregiudizio di salute deriva un danno economico, che ci dimostra ancor esso come un tale orario di lavoro sia un grave errore; tanto pi\u00f9 trattandosi di ragazze che costituiscono una parte cos\u00ec importante e cos\u00ec delicata della popolazione, si dovrebbe guardare anche un pochino al di poi e pensare che da queste donne, che logorano i loro pi\u00f9 begli anni in un lavoro cos\u00ec improbo, non potranno nascere che dei figli malati e degli operai imbelli. Oltre al danno presente avremo cos\u00ec pel futuro una generazione meno resistente alla fatica, e col diminuire della forza di lavoro, unica ricchezza della povera gente, si far\u00e0 sentire pi\u00f9 dolorosa la stretta della miseria, perch\u00e9 mancher\u00e0 loro ad un tempo la salute e il pane. \u2026.. E\u2019 triste a dirsi, ma \u00e8 vero: l\u00e0 dove grida la voce della miseria, tace soffocata quella del cuore e della ragione, e la libert\u00e0 dei genitori, come quella dell\u2019operaio, sono affidate unicamente all\u2019umanit\u00e0 e alla discrezione dell\u2019industriale. Pertanto voglio sperare che i signori industriali, padroni di questo opificio, da gente per bene come essi sono, ridurranno la giornata di lavoro a queste povere ragazze: avranno cos\u00ec degli operai pi\u00f9 diligenti e pi\u00f9 volenterosi, e si acquisteranno un nuovo e vero titolo di benemerenza presso i Poirinesi<\/em><\/p>\n\n\n\n

     Nell\u2019aprile dell\u2019anno 1897 si verific\u00f2 una nuova tensione tra le operaie e la ditta Dassano e Carasso: le operaie inviarono una petizione al Sindaco pregandolo caldamente a volersi interporre \u201cper addivenire ad un riavvicinamento colli suddetti loro principali, per la divergenza che fra loro esiste, dando, con loro sommo dispiacere, effetto, la cessazione al lavoro, ora necessario, poich\u00e9 sommo \u00e8 in loro il rispetto alle leggi e alle Autorit\u00e0\u201d <\/em>Quali erano le loro richieste?<\/p>\n\n\n\n

1\u00b0 Esatta tassazione metrica nella lunghezza delle pezze<\/em><\/p>\n\n\n\n

2\u00b0 Orario estivo: dalle 6,30 alle 12; ripiglio del lavoro alle 13,30 per cessare alle 19<\/em><\/p>\n\n\n\n

3\u00b0 Aumento di due cent. per metro di qualsiasi tessuto, tanto per quelli fabbricati su telai meccanici come a mano<\/em><\/p>\n\n\n\n

4\u00b0 Trattamento pi\u00f9 giusto verso alle operaie; vale a dire che i tessuti i quali si possono fabbricare qui in Poirino, darne a loro la preferenza;<\/em><\/p>\n\n\n\n

5\u00b0 Licenziare, quando fosse esuberante il numero delle operaie, prima, quelle che si conoscono pi\u00f9 floride il loro stato finanziario; poscia le pi\u00f9 giovani di fabbrica;<\/em><\/p>\n\n\n\n

Non sappiamo in quali termini intervenne il Sindaco: sappiamo per\u00f2 che il Prefetto si felicit\u00f2 con lui con una lettera del 1\u00b0 maggio 1897 \u201clieto della cessazione dello sciopero da parte degli operai dello stabilimento Dassano e Carasso, rinnovo alla S.V. i miei ringraziamenti per la sollecitudine con cui si adoper\u00f2 per ottenere cos\u00ec pronto e felice risultato\u201d<\/em><\/p>\n\n\n\n

     Intorno al 1914, come gi\u00e0 detto, la Manifattura Tessile entr\u00f2 in crisi e provoc\u00f2 disoccupazione. Una petizione firmata da 200 persone chiese al Comune di impiegare gli operai disoccupati (si noti: gli operai uomini) con l\u2019esecuzione di opere pubbliche. Il Consiglio comunale esamin\u00f2 tale petizione in data 29 agosto e provvide con lavori straordinari al letto del torrente Banna.<\/p>\n\n\n\n

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L\u2019EPOCA DEI VASTAPANE<\/p>\n\n\n\n

     I Vastapane approdarono a Poirino nell\u2019anno 1918 acquistando il sito gi\u00e0 dei Melano e procedendo quindi al completamento del quadrilatero nelle forme in cui si presenta ancora oggi. Ma chi erano i Vastapane?<\/p>\n\n\n\n

La famiglia Vastapane<\/p>\n\n\n\n

     Giacomo Vastapane nacque in Riva di Chieri l\u201911 ottobre 1872, quartogenito di Giuseppe e Margherita Maina che generarono sei figli. Nell\u2019anno 1896, aveva 24 anni, era entrato nella fabbrica chierese di tessuti e coperte Gerbino e figlio, una ditta che aveva una lunga storia dal 1795; insieme ad altri soci (Vergnano, Fonio)  acquis\u00ec progressivamente tale ditta denominata quindi Successori G. Gerbino e figlio e ne divenne successivamente unico proprietario e responsabile. Il matrimonio di Giacomo con donna Maria Panieri consolid\u00f2 gli interessi per il tessile: la signora Maria Panieri era infatti originaria del Canavese dove Giacomo si recava per ampliare le proprie conoscenze ed esperienze nel campo della tessitura visitando la Manifattura di Pont in cui operava la famiglia della futura moglie. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Giuseppe (1901-1985), Marco (1904-1989), Margherita (?-1985, Riccardo (1911-1984), Bianca (1916-2004). Solo i primo due, Giuseppe e Marco, seguirono le orme del padre preparandosi all\u2019inserimento nell\u2019azienda, il primo con studi da ragioniere, il secondo da perito tessile. Giacomo dedic\u00f2 tutte le sue energie ai due stabilimenti tessili di Chieri (sito in viale Diaz angolo viale val Cismon) e di Poirino (via Indipendenza, via Vastapane). I pochi documenti conservati (un registro della corrispondenza: Copialettere<\/em>) riferiti agli anni 1913-1922 attestano una frenetica attivit\u00e0 volta alla commercializzazione dei prodotti onde evitare eccessive giacenze di magazzino che avrebbero comportato licenziamenti di personale, e all\u2019approvvigionamento di risorse finanziarie ricorrendo prevalentemente a prestiti da parte di parenti, amici e conoscenti. Alcune testimonianze tratte dal citato Copialettere<\/em>: ad un signore di Roma che gli aveva prestato 7.000 lire l\u20191 maggio 1914 rimettendo gli interessi scrive: L\u2019informo che il punto massimo della crisi \u00e8 passato\u2026. Ora cominciano gli incassi e fra breve spero di poter tornare creditore verso le predette banche\u201d<\/em>. Ma pochi mesi dopo scrivendo al cognato il 13 agosto 1914, espone una situazione opposta: \u201cda parecchio tempo sono preoccupato per la critica situazione finanziaria che forse mi obbliga a chiudere lo stabilimento per la mancanza di denaro circolante specialmente per le paghe operaie. Speriamo che il Governo esorter\u00e0 le banche a voler mettere a disposizione degli industriali i denari sufficienti pel regolare andamento di tutte le aziende.<\/em> Un incendio di merci depositate presso la dogana di Buenos Aires e la rottura con il socio Fonio con conseguenti strascichi giudiziari turbarono ulteriormente l\u2019andamento contraddittorio della ditta. Gli anni di guerra aggiunsero altre difficolt\u00e0: arruolamento di impiegati e tecnici indispensabili per la conduzione dell\u2019azienda; rincari del cotone e delle tinte, mancanza di trasporti via mare per esportare in America. In una lettera del 17 febbraio 1916 denuncia l\u2019avidit\u00e0 di certi industriali che hanno reso diffidente il Governo: \u201cLa febbre degli affari avvenuta sette otto mesi addietro colp\u00ec parte degli industriali: per noi chieresi fu un disastro e specialmente per me poich\u00e9 il Governo, essendo stato imbrogliato da fornitori disonesti, ne fa subire le conseguenze a tutti, rifiutando qualsiasi tipo similare che in precedenza comperava ed io ebbi il piacere di fornire senza la minima osservazione. Tra tessuto grisette, tela tasche, coperte da letto per ospedali, catalogne ecc. il mio capitale venne completamente assorbito ed oltre al non fruttare, non so quando potr\u00f2 esitare tale merce e con quale perdita\u2026.. Quel po\u2019 di lavoro che si potrebbe fare per l\u2019esportazione, non si pu\u00f2 produrre per la mancanza di quasi tutte le tinte principali; quella parte che si arriva a fabbricare con tutti gli sforzi, quando \u00e8 pronta, non si pu\u00f2 spedire per mancanza di vapori; insomma per noi chieresi e specie per me non potrebbe andare peggio\u2026.  Oltre tutto quanto esposto, mi trovo quanto prima senza personale e per forza sar\u00f2 costretto a chiudere lo stabilimento. Di dodici impiegati che avevo, otto furono richiamati tra i quali il Tecnico che non potr\u00f2 certamente rimpiazzare, e gli altri lo saranno quanto prima. Io rester\u00f2 quindi con del personale provvisorio e non pratico, perci\u00f2 sar\u00e0 molto meglio decidere la chiusura.\u201d<\/em><\/p>\n\n\n\n

In questi anni si registrano alcuni licenziamenti di personale tecnico legati a temporanee cadute della produzione, ma anche numerosi prestiti da privati tra cui emergono diversi poirinesi. Gli affari comunque non andavano cos\u00ec male visto che nell\u2019ottobre del 1917 acquist\u00f2 la Villa Cappuccini di Chieri e nel marzo del 1919 una automobile Fiat tipo 2 Landaulet limousine. Si aggiungano inoltre frequenti donazioni di coperte e di tessuti ad orfanatrofi (30 dicembre 1912, 40 coperte all\u2019Orfanatrofio femminile, Mi raccomando massima segretezza essendo mio sistema fare quel po\u2019 di bene che le mie deboli forze permettono senza far pubblicit\u00e0<\/em>), al Cottolengo di Vinovo (20 giugno 1917, 130 catalogne in segno di riconoscenza per aver ritirato suo fratello Bartolomeo).<\/p>\n\n\n\n

     Il 27 dicembre scrive all\u2019amico Chionio: \u201cVoglia il buon Dio fare in modo che questa disgraziata  guerra (la rovina mondiale) finisca presto, altrimenti non si sa come e dove andremo a finire! La villa acquistata \u00e8 appunto quella della famiglia Colomiatti, peccato che per loro disgrazia gli affari le andarono male e la villa and\u00f2 in deperimento. Se Dio vorr\u00e0 la rinfrescheremo.<\/em>  L\u2019anno 1918 fu pi\u00f9  generoso: oltre a portare la fine della guerra, consent\u00ec ingenti investimenti al cav Giacomo Vastapane che confidava sempre pi\u00f9 nell\u2019inserimento dei due figli maggiori nella conduzione della ditta. In altra lettera all\u2019amico Chionio (16 marzo 1919) cos\u00ec si confida: \u201cMi fa piacere dirti che Giuseppe mette alquanto giudizio e gi\u00e0 mi serve a dividere un po\u2019 i dispiaceri che giornalmente si passano in questo misero mondo. Spero che se non a giugno almeno entro ottobre riuscir\u00e0 ad ottenere il diploma da Ragioniere. Marco, bench\u00e9 sia il secondo della classe ed il suo nome sia nel quadro d\u2019onore, \u00e8 spiacente di non poter essere il primo, dovendo lottare con un collega di rarissimo ingegno. Degli altri tre bambini per quanto molto vispi non posso lagnarmene. La salute nostra \u00e8 ottima, non avendoci finora colpito i papatacci e\u2026<\/em><\/p>\n\n\n\n

     Anche gli affari vanno bene: lo dichiara espressamente all\u2019amico Chionio in una lettera del 9 settembre 1919: \u201cI miei affari vanno sempre bene e l\u2019auguro altrettanto per i tuoi.\u201d<\/em>; lo si evince dalla Dichiarazione alla Agenzia delle Entrate sui sopraprofitti di guerra presentata nel marzo del 1920: emerge una cifra d\u2019affari per l\u2019anno 1918 di lire 1.500.000 con un utile dichiarato dell\u20198% pari a 120.000 lire; per l\u2019anno 1919 il volume d\u2019affari dichiarato scende a 850.000 con un utile di lire 25.500 pari al 3% e la seguente spiegazione: \u201cdiminuzione di valore delle nostre merci causata dall\u2019improvviso armistizio\u201d<\/em> Dal 1918 gli impegni del cav. Vastapane raddoppiano perch\u00e9 si aggiunge lo stabilimento di Poirino <\/p>\n\n\n\n

     Riprende l\u2019andamento oscillante delle vendite con momenti di euforia commerciale e altri di crisi: \u201cAffari: potrebbero andare molto meglio, nessuno si aspettava una crisi di questo genere, ma come ne passammo altre si sorpasser\u00e0 anche questa\u201d <\/em> scrive il 16 luglio 1921 al sig. Alessandro Caro di Roma. Ma sulla famiglia Vastapane incombono nuove disgrazie: la consorte donna Panieri a fine 1921 si ammala e trasciner\u00e0 la sua malattia per due anni venendo a mancare il 14 febbraio 1923. Ma gi\u00e0 un anno prima era venuto a mancare improvvisamente il marito Giacomo Vastapane: in famiglia si tramanda (Sergio Vastapane, nipote vivente) che nel febbraio del 1922 Giacomo tornasse a casa da Poirino a Chieri su un autocarro scoperto con alcuni operai; furono colpiti da un furioso acquazzone che provoc\u00f2 in Giacomo una polmonite fulminante che lo port\u00f2 alla morte nell\u2019arco di pochi giorni. Non aveva ancora compiuto i cinquant\u2019anni. Solo il figlio maggiore, Giuseppe, aveva raggiunto la maggiore et\u00e0: dovette farsi carico, nonostante la limitata esperienza, sia della gestione della ditta sia della educazione dei fratelli e delle sorelle, insieme alla madre che sarebbe mancata l\u2019anno successivo. Presto gli si affiancher\u00e0 il secondogenito, il fratello Marco.<\/p>\n\n\n\n

Il Fabbricone<\/p>\n\n\n\n

     \u201cNon ho parole di ringraziarli della loro cortesissima accoglienza e sono lietissimo di aver fatto la loro personale e preziosa conoscenza e mi sento altamente onorato delle prove di stima e di amicizia dimostratemi, specialmente in occasione dell\u2019affaretto concluso senza interesse da parte loro. Approfitter\u00f2 della loro bont\u00e0 e cortesia per certi schiarimenti ed informazioni circa il modo di comportarmi di fronte al paese allorquando avr\u00f2 la fortuna di far rinascere in Poirino un modesto Stabilimento che, spero, potr\u00e0 dare lavoro almeno a 500 operai\u2026\u201d<\/em>  cos\u00ec Giacomo Vastapane scrive l\u20191 agosto 1918 al cav. Menso e gentile signora di Poirino. Con espressioni tendenti al ribasso manifesta i suoi grandiosi propositi di trasformare il sito del Fabbricone in uno stabilimento in cui occupare almeno 500 operai. L\u2019entusiasmo iniziale viene presto smorzato dalla requisizione di gran parte dello stabilimento da parte dell\u2019Esercito, come lamenta in una lettera al Sindaco di Poirino del 28 agosto per cui \u201cnon potr\u00f2 perci\u00f2 tanto presto iniziare i lavori di riattamento del locale, come era mia intenzione. Facendo voti per la fortuna delle nostre armi e per un pronto ritorno a tempi migliori mi auguro di essere presto in condizioni di iniziare i lavori per detto stabilimento \u2026\u201d<\/em><\/p>\n\n\n\n

     Il Comune vide certamente in Giacomo Vastapane una grande opportunit\u00e0 per il paese e cerc\u00f2 di coinvolgerlo nell\u2019Amministrazione ma l\u2019imprenditore declin\u00f2 l\u2019offerta con cortes\u00eca e fermezza; in una lettera del 24 ottobre 1918 cos\u00ec rispondeva: \u201cRingrazio sentitamente cotesto Consiglio Comunale per l\u2019attenzione a mio riguardo ma con mio sommo rincrescimento non posso rispondere favorevolmente, poich\u00e9 per principio non accetto cariche amministrative, prima perch\u00e9 mi manca il tempo ed in secondo luogo perch\u00e9 ci tengo conservarmi l\u2019amicizia di tutti, poveri e ricchi e di qualsiasi partito\u201d<\/em> L\u2019alloggiamento della truppa provoc\u00f2 nuovi dispiaceri al Vastapane che in una lunga lettera del 28 gennaio 1919 al Comando Divisione Militare di Torino riferiva di devastazioni dei locali e del mobilio, di gravi danni agli infissi ed agli oggetti; rinunciava al risarcimento ma chiedeva lo sgombero di detti locali \u201cdetto fabbricato lo debbo adibire ad uso industriale\u201d<\/em> <\/p>\n\n\n\n

     Purtroppo non disponiamo di documenti puntuali sulla ristrutturazione del fabbricone e sull\u2019avvio dell\u2019attivit\u00e0 tessile; ci dobbiamo basare su alcune immagini, su informazioni sparse, su testimonianze del sig. Sergio Vastapane. Una bella immagine risalente agli anni Venti rappresenta lo status dell\u2019impresa (foto n. 5): nella parte superiore sono rappresentati i due stabilimenti, quello principale di Chieri sito in viale Diaz angolo viale val Cismon ed il Fabbricone di Poirino in via Vastapane; in basso la ragione sociale: Manifattura tessuti e coperte G. VASTAPANE Succ. G. GERBINO  e Figlio<\/em>, sede amministrativa in Chieri, iscrizione alla Camera di Commercio n. 22258, logo della Confindustria, Ufficio vendite in Torino, via della Rocca 24, telefono 49080, una marchio grafico costituito da una ragnatela sorretta da un ramo sormontato dalla scritta Casa fondata nel 1795. Il Fabbricone<\/em> di Poirino \u00e8 ormai completamente delineato (foto n. 6): un quadrilatero che su tre lati \u00e8 costituito da robusti edifici su tre piani con ampi finestroni verso l\u2019esterno ed il cortile interno; due rampe di scale sugli angoli interni verso via Arpino collegano i tre piani; su via Indipendenza si affaccia una lunga costruzione su due piani principali, un seminterrato ed un ampio sottotetto: in questa parte si trovano gli uffici amministrativi, la banca privata, le sale per lavorazioni manuali (ricamo, cucito \u2026). All\u2019interno un ampio cortile con siepi, vialetti ed una colonna che sorregge una Madonna con Bambino; sono spariti tutti i fabbricati precedenti, vi si accede da via Arpino tramite un passaggio carraio ricavato all\u2019interno dell\u2019edificio, chiuso da un cancello in metallo su cui sono sovrapposte le lettere GV (Giacomo Vastapane, ancora oggi visibili). <\/p>\n\n\n\n

     Sulla Rivista mensile municipale di Torino<\/em> dell\u2019ottobre 1929 compare un servizio dedicato all\u2019industria Vastapane. Tra l\u2019altro viene riportato che \u201cNell\u2019anno 1918 sulle rovine dell\u2019abbattuta Manifattura di Poirino, veniva, per volont\u00e0 di Giacomo Vastapane, costruito un grandioso stabilimento nel quale furono installati 200 telai meccanici per la fabbricazione di tessuti di vario genere e copriletti dagli ampi disegni alla Jacquard. E\u2019 da notare che, data la capacit\u00e0 notevole dello stabilimento in parola, potranno essere ancora collocati altri telai, il cui impianto \u00e8 attualmente allo studio. Dai due stabilimenti perfettamente attrezzati vengono prodotti articoli vari: la maggior parte \u00e8 costituita da tessuti di cotone adatti a vestiti da uomo e ragazzo e specialmente di tessuti per paesi caldi. Vengono pure fabbricati ingenti quantit\u00e0 di copriletti di tutti i tipi, sia di cotone che di seta artificiale o misti cotone e seta artificiale, lino, canapa e rami\u00e9.\u201d<\/em> Si d\u00e0 conto inoltre <\/em>del ruolo importante dell\u2019esportazione, in particolare nel Centro e Sud America ove opera la ditta Vastapane Hermanos<\/em> diretta dal cav. Marco Vastapane (il secondogenito di Giacomo) con sede a Barranquilla nella Colombia; la vendita all\u2019interno \u00e8 seguita dal procuratore Angelo Asti con sede in Torino, via della Rocca 24. Ben 355 sono gli operai complessivamente occupati nei due stabilimenti di Chieri e Poirino. Il servizio celebra poi le opere assistenziali a favore delle maestranze poste in atto ancor prima che l\u2019avvento del Fascismo le rendesse obbligatorie, cosicch\u00e9 anche in questo ramo di delicata assistenza la Ditta fu una vera precorritrice<\/em> ed augura quindi ai gerenti attuali Sigg. rag. comm. Giuseppe Vastapane e cav. Marco Vastapane il conseguimento delle giuste aspirazioni che sono la naturale conseguenza di un s\u00ec luminoso operato.<\/em><\/p>\n\n\n\n

     L\u2019Annuario dell\u2019Industria Cotoniera Italiana<\/em> del 1930 riportava schematicamente dati analoghi con qualche informazione aggiuntiva: come direttore generale viene indicato Angelo Asti, lo stabilimento di Chieri viene datato al 1907, quello di Poirino al 1918; l\u2019attivit\u00e0 viene definita tessitura meccanica<\/em> con una lunga serie di prodotti: cannet\u00e9s, coperte, copriletti, damaschi, drills, gabardine, grisettes, olone, stoffe per vestiti da uomo, stoffette, tele blen per marinare, tele medioevali, tessuti operati di cotone con effetti di seta artificiale, tussores. Lungo altres\u00ec l\u2019elenco dei paesi stranieri meta di esportazioni: Malta, Romania, Turchia, Africa del Sud, Colonie italiane, Congo belga, Egitto, America del Nord e del Sud, Cuba, Guatemala, India inglese, Indie olandesi, Iraq, Filippine, Palestina, Persia, Siria, Australia; agenti permanenti all\u2019Estero in Buenos Aires, Montevideo, Rio de Janeiro, Barranquilla, Amburgo.<\/p>\n\n\n\n

     Quando e perch\u00e9 la Ditta Vastapane chiuse? Riporto le informazioni ufficiali contenute in un atto notarile del 5 agosto 1931: \u201c\u2026 da qualche anno la sopravvenuta crisi commerciale ha pure fatto sentire i suoi effetti sulla azienda propria di essi Vastapane; \u00e8 diminuita se ben quasi cessata la produzione dei tessuti, i macchinari inoperosi sono svalutati, e cos\u00ec la molta merce in magazzino, difficilissimo il recupero dei crediti e per contro lo stesso onere di imposte e di personale e onere maggiore di interessi passivi. Esso tutore, i fratelli e sorella comproprietari hanno deciso di porre l\u2019azienda in liquidazione a senso dell\u2019art. \u2026.\u201d<\/em> Siamo a ridosso della grave crisi economica e commerciale dell\u2019anno 1929 che travolse numerose aziende; Marco Vastapane nella gi\u00e0 citata testimonianza del 1978, cos\u00ec ricorda: \u201cquando mio padre \u00e8 mancato siamo entrati noi figli, poi nel periodo della ecatombe del 1931-1932 quando c\u2019\u00e8 stata una crisi enorme, la ditta \u00e8 cessata\u2026\u201d<\/em>. Dunque: tracollo del mercato, giacenze di magazzino, crediti inesigibili, quindi fallimento. Ma ci furono anche errori di gestione o dispersione di risorse? I Vastapane allora erano ancora giovani; Marco per vari anni era stato impegnato in America Latina per la commercializzazione; il primogenito Giuseppe, responsabile dell\u2019azienda, coltivava anche altri interessi: era appassionato di vetture sportive, si recava spesso a Monza per seguire gare automobilistiche, frequentava gli eventi mondani di Casa Savoia, addirittura nel corso del campionato 1930-31 fu il presidente del Torino Calcio. Il fallimento della Vastapane lasci\u00f2 strascichi amari: non solo centinaia di disoccupati ma anche debiti insoluti nei confronti di chi aveva prestato denari alla banca privata di famiglia. Questo evento determin\u00f2 in Poirino una cattiva fama dell\u2019impresa Vastapane che fin\u00ec con l\u2019offuscare i grandi meriti storici di Giacomo Vastapane. Con atto notarile del 31 agosto 1931 il consiglio di famiglia Vastapane (i cinque: tre fratelli e due sorelle) decidevano la messa in liquidazione della Successori G. Gerbino e figlio<\/em> (la denominazione ufficiale della Ditta era rimasta invariata) e nominavano come liquidatori i due fratelli Giuseppe e Marco nonch\u00e9 il rag. Vittorio Grosso.<\/p>\n\n\n\n

     Dopo il fallimento dell\u2019azienda i Vastapane seguirono percorsi diversi: Giuseppe si trasfer\u00ec a Torino per dirigere la smalteria Casella; Marco torn\u00f2 al tessile con altri soci nella Ditta Gilli e C.; il fratello minore rag. Riccardo pratic\u00f2 con successo il tennis nel Lawn Tennis Club Stadium di Torino e divenne un funzionario della Martini e Rossi; la sorella Margherita, poliglotta, si dedic\u00f2 ad opere pie tra cui il Movimento Apostolico Ciechi; la sorella minore Bianca divenne farmacista.   <\/p>\n\n\n\n

IL FABBRICONE DOPO LA TESSITURA<\/p>\n\n\n\n

     A chi \u00e8 appartenuto il fabbricone dopo il fallimento della Tessitura Vastapane ed a quali usi \u00e8 stato destinato? Vicende complesse da seguire perch\u00e9 fu suddiviso in diverse propriet\u00e0 e quindi alcune sue parti sono state adibite ad usi diversi. Di fatto cess\u00f2 la sua struttura unitaria e rimase prevalentemente inutilizzato, fatta eccezione per la manica prospettante su via Indipendenza adibita a residenze e servizi<\/p>\n\n\n\n

     Seguiamo alcuni passaggi. Con atto notarile del 13 aprile 1939 la propriet\u00e0 pass\u00f2 dalla Banca di Risparmio<\/em> (in cui presumibilmente erano confluiti i beni della tessitura fallita e che doveva far fronte agli ingenti prestiti da restituire) ad una nuova compropriet\u00e0 indivisa costituita dai signori Minelli Antonio, Musso Domenico e Minelli Maria coniugi, e cav. Giovanni Brossa: terreno della superficie di mq 5.712 con entrostanti costruzioni ad uso industriale, uffici, depositi ed abitazione, accatastati nel foglio 40. Con successivo atto del dicembre 1950 i proprietari procedettero alla suddivisione dell\u2019intero immobile frazionando in tre parti sia l\u2019edificio residenziale su via Indipendenza sia i locali produttivi sia il cortile interno, riconfermando il comune accesso da via Arpino. Nei decenni successivi i proprietari e gli eredi procedettero ad alcuni interventi di recupero edilizio residenziale ed a nuove alienazioni. Tutta la manica su via Indipendenza fu trasformata in abitazioni ed uffici; seguirono tre interventi per il recupero di alloggi nelle due maniche del Fabbricone affacciate su via Martiri della Libert\u00e0 (gi\u00e0 via Vastapane) e via Verdi sia pur limitatamente a porzioni contigue con l\u2019edificio di via Indipendenza: negli anni Cinquanta un primo intervento su via Verdi (alcune unit\u00e0 abitative); negli anni Sessanta una decina di alloggi su via Martiri ai numeri civici 3 e 5; negli anni Ottanta altri alloggi e negozi al piano terreno furono ricavati su via Verdi in prosecuzione del precedente intervento. Tali interventi, pur compromettendo l\u2019unit\u00e0 architettonica del fabbricone, all\u2019esterno ne hanno mantenuto sostanzialmente il prospetto rispettando i piani e le aperture.<\/p>\n\n\n\n

     Nel 1979 la restante parte del Fabbricone, che costituiva ancora la parte preponderante, fu ceduta al sig. Giovanni Delbosco, noto antiquario poirinese, che utilizz\u00f2 tali locali come magazzino degli oggetti di antiquariato. Quando tale magazzino fu svuotato ed i locali rimasero vuoti e soggetti a degrado, in particolare le coperture ed i finestroni, ci si pose anche a livello pubblico il quesito della destinazione. Un primo tentativo di recupero di tali locali ai fini di edilizia residenziale pubblica fu compiuto dal Comune negli anni 1993-94 ma successivamente abbandonato; un secondo tentativo di iniziativa privata fu compiuto intorno al 2008-2010 ma l\u2019incombere della crisi economica ed edilizia scoraggi\u00f2 gli imprenditori interessati. Si sarebbero potuti ricavare decine di alloggi nei due piani superiori e locali per attivit\u00e0 artigianali, commerciali e di servizio al piano terreno, ma soprattutto si sarebbe recuperato un importante edificio storico, salvandolo dal degrado e mantenendo per quanto possibile la struttura architettonica, almeno all\u2019esterno<\/p>\n\n\n\n

     Oltre ai gi\u00e0 segnalati usi residenziali e commerciali, occorre ricordare che nel corso dei decenni diverse altre attivit\u00e0 hanno trovato ospitalit\u00e0 nei locali del Fabbricone, sia pur per periodi abbastanza limitati. Intanto negli anni della seconda guerra mondiale il Fabbricone torn\u00f2 ad essere utilizzato come caserma e magazzino militare; cessata la guerra l\u2019esercito americano si insedi\u00f2 temporaneamente per ricostruire il ponte sul Banna. Nel dopoguerra al piano terreno lungo via Arpino si insedi\u00f2 la tipografia degli Aggero cui subentrarono nel 1979 i Manfieri che di l\u00ec si trasferirono nel 1988. Dal 1947 al 1961 al n. 5 di via Vastapane si insedi\u00f2 la Unione Sportiva Poirinese, mitico luogo di incontri per intrattenimenti e per l\u2019organizzazione di eventi sportivi. I Poirinesi pi\u00f9 attempati ricordano diverse altre presenze in quei locali: una stamperia di tessuti; una lavorazione di freni per biciclette, il pastificio Tosa, lo studio fotografico di Romolo Nazzaro, un laboratorio di Radio Elettra, una torneria meccanica di Altina, e altri ancora.<\/p>\n\n\n\n

     Rimangono da ricordare i cambi di denominazione del vicolo posto a ponente del Fabbricone (ora via Martiri della Libert\u00e0). Gi\u00e0 vicolo dei Boglioni, fu aperto dai Vastapane su suolo privato per collegare via Indipendenza con via Arpino e quindi ceduto al Comune nel 1923 a condizione che la via sia ricordata al defunto loro padre cav. Giacomo Vastapane<\/em> che era mancato l\u2019anno prima. La richiesta fu accolta dal Comune per cui tale vicolo mantenne la denominazione Giacomo Vastapane<\/em> fino al 1971 allorch\u00e9 il Consiglio comunale ne cambi\u00f2 la denominazione in via Martiri della Libert\u00e0.<\/em> Ottima denominazione, a parere dello scrivente, ma un po\u2019 generica se finalizzata a ricordare i Martiri della Resistenza. Ma il cambio fu storicamente inopportuno perch\u00e9 cancellava la memoria di un protagonista della vita economica poirinese: forse sarebbe opportuno ripristinare la denominazione di via Giacomo Vastapane.<\/em><\/p>\n\n\n\n

Foto<\/p>\n\n\n\n

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  1. Dal Catasto francese 1810: il sito del fabbricone \u00e8 ancora in gran parte inedificato<\/li>\n\n\n\n
  2. Veduta dai Cappuccini: anni Settanta Ottanta (sec. XIX)<\/li>\n\n\n\n
  3. Lo stabilimento Dassano e Carasso nell\u2019anno 1900<\/li>\n\n\n\n
  4. Lo stabilimento intorno al 1914<\/li>\n\n\n\n
  5. Stabilimenti Vastapane di Chieri e Poirino intorno al 1930<\/li>\n\n\n\n
  6. Il Fabbricone di Poirino intorno al 1930<\/li>\n<\/ol>\n\n\n\n

    Testimonianze<\/p>\n\n\n\n

    MARCO VASTAPANE         <\/strong>(1\/2\/1904  —   13\/5\/1989)<\/p>\n\n\n\n

    Intervista raccolta da Cesare Matta nell\u2019anno 1978<\/p>\n\n\n\n

         La ditta iniziale era ditta GERBINO la quale \u00e8 stata fondata nel 1797; un secolo dopo \u00e8 stata ceduta dai Sigg. Gerbino ai dipendenti, agli impiegati che avevano, tra i quali c\u2019erano mio padre, un Signor Vergnano e un signor Fonio che hanno fatto una ditta: Successori Giuseppe Gerbino.  Questa ditta per un po\u2019 di anni \u00e8 rimasta nella vecchia sede che aveva prima con i vecchi titolari, poi hanno costruito in viale Fasano angolo viale Diaz una fabbrica che adesso non \u00e8 pi\u00f9 fabbrica, ad ogni modo  \u00e8 stata per tanti anni con mio padre, poi quando mio padre \u00e8 mancato siamo entrati noi figli, poi nel periodo della ecatombe del 1931-1932 quando c\u2019\u00e8 stata una crisi enorme, la ditta \u00e8 cessata        poi dopo ho ripreso io e altri due o tre impiegati della ditta e abbiamo fatto la Ditta GILLI & C     che era la prosecuzione della ditta GERBINO \u2013 VASTAPANE ma non aveva niente a che fare, era una cosa nuova. Io ho prestato il mio servizio di tecnico tessile con gli altri due soci che attualmente sono mancati tutti e due.  Io sono un po\u2019 sordo come  conseguenze di una malattia professionale perch\u00e9 sono stato molto sovente e per lungo tempo in mezzo ai telai; i telai meccanici sono molto rumorosi e dannosi all\u2019orecchio, tutti gli anni venivano da Torino, dall\u2019Ufficio competente per la  verifica delle condizioni di udito dei dipendenti che lavoravano nei reparti rumorosi, c\u2019ero sempre anch\u2019io il primo a farmi prendere i dati, risultavo il pi\u00f9 malandato.   <\/p>\n\n\n\n

     La legge sull\u2019assicurazione previdenziale obbligatoria.<\/em><\/p>\n\n\n\n

         Io mi ricordo, allora ero ancora studente, \u00e8 venuta quella legge della assicurazione obbligatoria, so che mio padre ha dovuto imporsi proprio con la forza perch\u00e9 gli operai non volevano quella piccola trattenuta per l\u2019assicurazione; so che lui aveva detto a questi bravi uomini: Sentite, io lo faccio,  non me li metto io in tasca quei soldi, sono per voi, per la vostra vecchiaia, io  non posso tenervi se non facendovi l\u2019assicurazione; ha insistito, era riuscito e aveva fatto l\u2019assicurazione; si trattava poi di due lire la settimana anche meno, era gi\u00e0 qualcosa ma non che potesse mandare in rovina una famiglia. E mi ricordo poi, passati anni e anni, ho ritrovato qualcuno di quei vecchi dipendenti iquali erano al Regio Ospizio di Carit\u00e0 qui di Chieri, ho chiesto come stavano, mi hanno fatto un mucchio di feste, mi conoscevano da quando ero piccolino, e gli ho detto: Vi ricordate quando mio padre buonanima ha dovuto insistere e battere i pugni sul tavolo perch\u00e9 voi accettaste di farvi fare  la trattenuta obbligatoria: Ah s\u00ec s\u00ec, ancora pro ca ra fait lul\u00ec perch\u00e9 se aveisu nen l\u2019assicuraziun, adess gnanca a l\u2019ospizi an piiriu nen<\/em>. I contributi venivano versati ad un ente pubblico, non ricordo il nome, non era ancora l\u2019Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, era un altro istituto, ha avuto vari nomi e modifiche. Per quanto riguarda la ditta mia, \u00e8 stata messa subito in atto la disposizione malgrado le resistenze che venivano dalla parte degli operai, \u00e8 stata messa a posto ed \u00e8 andata avanti, sempre aumentando l\u2019importo dei contributi man mano che crescevano, fino a due assicurazioni, l\u2019assicurazione per malattia e l\u2019assicurazione per invalidit\u00e0 e vecchiaia. Non mi risulta che ci fossero state polemiche tra gli imprenditori in quanto che si trattava di una quota cos\u00ec piccola che non poteva incidere sul costo del lavoro, usando un termine moderno. <\/p>\n\n\n\n

    Insomma, io so che tutte le disposizioni sono sempre venute,  magari qualche volta un po\u2019si brontolava, perch\u00e8 c\u2019era un mucchio di scartoffie da preparare e le denunce mensili e quindi quello creava un disturbo nel lavoro, vero, era una seccatura ma non che fosse un onere troppo forte, sono sempre state applicate, e difatti io vedo che tante vecchie operaie, tanti operai sono tutti con la pensione, sono contenti, mi trattano ancora, diremo, con affetto,   non mi considero uno sporco sfruttatore del popolo. Se non \u00e8 stato immediatamente, nel giro di pochi mesi l\u2019avranno applicata tutti, finito il primo senso di sgomento da parte dei dipendenti per quella piccola trattenuta che gravava sulla loro paga, dopo le cose si sono appianate e sono andate avanti bene.  <\/p>\n\n\n\n

    In precedenza non c\u2019era n\u00e8 casse mutue, niente; l\u2019operaio, se veniva ammalato, stava a casa e non aveva nessun rimborso spese;  era grave la situazione quando un padre di famiglia si ammalava, per\u00f2  non c\u2019erano leggi, non c\u2019erano disposizioni per quello. C\u2019era a Chieri una Societ\u00e0 di Mutuo Soccorso, di Previdenza ed Istruzione del Cav. Francone, con sede nel Municipio, ma non so come funzionasse, forse funzionava prima che io fossi entrato a lavorare, nel secolo scorso forse funzionava. <\/p>\n\n\n\n

    Dopo la Prima Guerra una ripresa, poi un\u2019ecatombe<\/em><\/p>\n\n\n\n

         Negli anni Venti, subito dopo la fine della guerra, a Chieri c\u2019era una ripresa, se non erro, in quanto che gli operai che erano sotto le armi e rientravano dalla guerra, erano rientrati da poco e cercavano di introdursi, di ottenere il posto di lavoro: gli operai maschi avevano il lavoro sui telai da coperte, un lavoro pesante, gli operai femmine lavoravano su telai piccoli, bassi e nella preparazione, orditura, dipanatura eccetera;  ci fu in quell\u2019allora un rifiorire di piccole aziende, piccoli artigiani che si mettevano assieme, tre o quattro e facevano un\u2019azienda e lavoravano; poi viceversa \u00e8  venuta la crisi nel \u201929, \u201930, \u201931, tutte le aziende che non si erano ingrandite, che erano rimaste nel piccolo, hanno potuto superare la crisi in quanto avevano disponibilit\u00e0; le ditte invece che avevano fatto stabilimenti, impianti nuovi, si sono ritrovate con bei stabilimenti, bel macchinario ma con scarsit\u00e0 di fondi, c\u2019\u00e8 stata una ecatombe, possiamo chiamarla. Molte ditte  hanno dovuto chiudere i battenti, lasciar liberi gli operai, \u00e8 stato un periodo molto brutto per Chieri. Gli operai maschi cercarono di sistemarsi a Torino, alla Fiat o imprese simili come pendolari, le donne non potevano fare altro lavoro che quello, si sposavano, aspettavano, si sistemarono poi poco a poco; quando una ditta era in fallimento non c\u2019era nessuno che si azzardasse a proporre che continuasse con l\u2019amministrazione controllata che continuasse a lavorare; se andava male, chi era fallito, era finito e gli operai si spandevano un po\u2019 di qua un po\u2019 di l\u00e0. Certe ditte che hanno resistito hanno potuto assorbire gli operai migliori e lasciar liberi quelli meno in gamba, c\u2019\u00e8 stata una selezione.<\/p>\n\n\n\n

     Quale era la gerarchia delle mansioni all\u2019interno di un\u2019azienda?<\/em><\/p>\n\n\n\n

    Il primo gradino: le ragazze venivano a fare le bobinatrici e le spolatrici, prendevano il filato dalle matasse, lo  mettevano sulla macchina  e  su dei rocchetti, questi rocchetti passavano al reparto orditura, di l\u00ec venivano trasformati in subbi; questo subbio andava sul telaio; al telaio c\u2019era la tessitrice a lavorare mentre al primo lavoro c\u2019era la bobinatrice. Poi dopo c\u2019era un\u2019altra gradazione molto importante bench\u00e9 poco numerosa: il filato da quando era messo sul subbio bisognava che  fosse indirizzato nei licci e nel telaio; per fare questo c\u2019era una categoria molto buona che chiamavano passatrici o annodatrici; la differenza consisteva in questo: la passatrice prendeva dal cavalletto i fili che venivano dal subbio con un gancetto, una specie di crochet, infilava uno per uno secondo i licci, secondo come era segnato sulla carta. Poi quando invece c\u2019era da ripetere il subbio che era andato alla fine, con lo stesso articolo, allora non si faceva pi\u00f9 il passamento filo per filo ma si annodava un filo con l\u2019altro, un filo per volta, con un po\u2019 di cenere e di colofonia, pece greca e cenere, i fili cos\u00ec torti venivano passati attraverso le maglie e portati oltre il pettine; in quel modo si avvantaggiava tempo e spesa. Poi dopo andava sul telaio dove c\u2019era la tessitrice la quale doveva tessere ma per tessere c\u2019era bisogno delle spole, e le spole le faceva una macchina, la macchina per spole.<\/p>\n\n\n\n

    E quindi le stesse operaie che facevano le bobine per fare l\u2019ordito, erano anche capaci di fare quelle spolette, anzi nelle ditte che avevano un certo numero di telai, c\u2019era una ragazza sola che provvedeva a tutte le spole, lei prendeva i rocchetti oppure le matasse e faceva le spolette, tante di un colore per un telaio, tante per l\u2019altro ; dava, diremmo, da mangiare,  ai telai secondo i filati che aveva bisogno per tessere;  quindi le categorie erano spolatrici, bobinatrici, orditrici, annodatrici, passatrici, tessitrici.  Finita la tessitrice le pezze andavano in magazzino poi venivano mandate al finissaggio per dare l\u2019appretto. <\/p>\n\n\n\n

    Dai telai a mano ai telai meccanici<\/em><\/p>\n\n\n\n

    Lo Jacquard, quei grossi telai a mano eran di legno. Quelli meccanici, elettrici, metallici, sono venuti a Chieri verso il 28-30, non prima, prima eran tutti di legno.<\/p>\n\n\n\n

    E le ditte che facevano il cambio del macchinario, in genere davano il telaio vecchio di legno all\u2019operaio che aveva sempre lavorato o lo affittavano o lo regalavano, secondo come si mettevano d\u2019accordo; per prendere i nuovi telai che occupavano spazio, tenere il telaio e mantenerlo inutilizzato, non conveniva invece lo davano in affitto o anche lo regalavano ai vecchi operai che lo portavano a casa, si mettevano assieme tre o quattro e lavoravano per le ditte.<\/p>\n\n\n\n

    Questi operai venivano a prendere il lavoro e se lo facevano a casa propria o in un posto adatto dove sistemavano il telaio , lavoravano a fas\u00f2n<\/em>, come si dice, tanto al metro, ci sono stati degli alti e dei bassi a seconda della concorrenza, a seconda della qualit\u00e0 dei filati<\/p>\n\n\n\n

    Credo che attualmente di telai a mano a Chieri ce ne sar\u00e0 ancora uno o due, qualcuno che l\u2019ha tenuto per ricordo, sono antieconomici, facevano trenta battute al minuto, forse anche meno, rispetto a quelli che ne fanno cento, non c\u2019\u00e8 neanche la quarta parte della produzione  poi nei telai meccanici ne possono guardare due, invece nei telai a mano pi\u00f9 di uno non si pu\u00f2 seguire.<\/p>\n\n\n\n

    Se l\u2019introduzione dei telai meccanici comport\u00f2 una diminuzione degli occupati? Non direi proprio, produsse una disponibilit\u00e0 di personale maschile perch\u00e9 i telai meccanici e per coperte erano lavorati da uomini, diventando meccanici anche la donna poteva dare il movimento senza fare grandi fatiche, allora ci fu una disponibilit\u00e0 di uomini i quali se ne andarono la maggior parte alla Fiat o ditte del genere, diventarono meccanici, l\u2019occupazione femminile sostitu\u00ec la maschile e gli uomini si sistemarono nelle aziende di Torino; qualcuno c\u2019era ancora perch\u00e9 i lavori di fatica non potevano farli le donne gli uomini erano diventati personale ausiliario; dal 1925-26 cominciarono i telai meccanici, poi dopo quando si erano ormai sistemati, anche chi non voleva il telaio meccanico dovette per forza comprare e adattarsi ad usarlo perch\u00e9 aveva un costo di lavoro molto inferiore rispetto a quello a mano<\/p>\n\n\n\n

    Retribuzioni e contratti<\/em> <\/p>\n\n\n\n

    Le retribuzione erano stabilite in base a delle tariffe concordate tra l\u2019unione industriali, la LIT, Lega Industriali Tessili con i primi sindacalisti che c\u2019erano allora, e avevano stabilito per la tessitura  una data quota in base alle battute, le battute sono le volte che la trama passa in un centimetro, pi\u00f9 sono le trame meno il telaio produce, se per fare un metro ci vogliono diecimila battute per dire, pi\u00f9 battute ci sono e meno il telaio produce perch\u00e9 il telaio va sempre alla stessa velocit\u00e0 quindi avevano stabilito una quota tanto per velocit\u00e0 a prescindere dal metraggio per dare il lavoro a cottimo alle tessitrici; per\u00f2 ho notato che malgrado tutto i datori di lavoro che avevano degli operai delle operaie in gamba han sempre dato di pi\u00f9 della tariffa pagavano di pi\u00f9 della tariffa concordata con i sindacati perch\u00e9 per evitare che gli portassero via una buona operaia, perch\u00e9 il telaio \u00e8 meccanico e va avanti ma se l\u2019operaia che c\u2019\u00e8 sopra non \u00e8 in gamba, rovina tanta roba, invece con l\u2019operaia che sa il suo mestiere il telaio produce e non fa dei guasti non fa delle pezze difettose, allora le brave operaie avevano un soprassoldo un premio, per dire invece di trentacinque centesimi ne avevano quaranta.<\/p>\n\n\n\n

    Questo tipo di contratto era valido per tutti sia per le coperte sia per i tessuti, avevano fatto un accordo. Gli appartenenti alla Lega ricevevano un elenco che diceva che l\u2019articolo tale va pagato tanto a battuta ma tutti davano di pi\u00f9 alle operaie buone. <\/p>\n\n\n\n

    Di lavoro ad orario non ce n\u2019era, nelle aziende il lavoro era pagato tutto a cottimo, almeno nel mio caso, un tanto al metro, facevano la pezza poi la misuravano, tanti metri faceva tanto, ogni operaia aveva un libretto su cui segnava le pezze rese, l\u2019articolo, i chili eccetera la lunghezza in metri dava la paga effettiva. Erano abbastanza differenti le lavorazioni delle coperte e delle pezze; quella delle coperte era un lavoro pi\u00f9 difficile, pi\u00f9 complicato mentre quello delle pezze era un lavoro pi\u00f9 facile pi\u00f9 semplice pi\u00f9 rapido da fare; bisogna tener presente quello, nelle pezze in base ai telai c\u2019erano da dodici a venti battute c\u2019era la tariffa normale e si dava un tanto per battuta, se c\u2019era poi un articolo specialissimo che avesse un numero di battute molto pi\u00f9 forte, allora aveva un premio e se c\u2019era un articolo che aveva solo cinque o sei battute veniva aumentato perch\u00e9 altrimenti non poteva guadagnare l\u2019operaia, se le battute erano dieci dodici al centimetro, bene, ma se erano solo sei, il filato era molto grosso e allora col filato grosso la spola durava poco, tutti i momenti bisognava cambiarla non c\u2019era come adesso il cambio delle navette o delle spole e il telaio continua sempre, allora bisognava fermare cercare una inserzione, quindi era un lavoro molto pi\u00f9 lungo quello non automatico <\/p>\n\n\n\n

    Gli operai iniziavano a lavorare a tredici quattordici anni, andavano in Municipio, si facevano dare il libretto di lavoro, portavano la prova di aver fatto la terza elementare, con il libretto di lavoro con quello potevano impiegarsi se trovavano, non c\u2019era Ufficio di Collocamento.<\/p>\n\n\n\n

         Nelle fabbriche non c\u2019erano operai senza libretto di lavoro perch\u00e9 era pericoloso, c\u2019era pericolo che si facessero male; invece lavoravano quelli che avevano il pap\u00e0, parliamo sempre prima del 1925, quando c\u2019erano ancora tanti telai a mano degli uomini,questi ragazzi portavano in fabbrica le spole fatte in casa e portavano indietro quelle vuote, questi ragazzi non erano lavoratori, portavano solo il cestino, ce n\u2019erano di tutte le et\u00e0 ma non erano lavoratori, venivano a portare il cavagnin <\/em>con le spole . Gli Uffici di Collocamento sono venuti dopo la Prima Guerra, prima si assumeva cos\u00ec, andavano dal padrone la mamma o la sorella maggiore, avrei questo ragazzo, questa ragazza da mettere a posto e allora se ne avevano bisogno lo prendevano oppure prendevano nota, se ne avremo bisogno lo chiameremo ma non c\u2019era l\u2019Ufficio Collocamento allora, che mi ricordi io di prima della Guerra, \u00e8 venuto poi in seguito dopo la fine della Prima Guerra, che poi non funzionava neanche tanto bene, non era necessario il bollo loro per assumere, loro ti dicevano Vai a vedere l\u00e0 in quella fabbrica, vai a vedere in quell\u2019altra,  ma non era come adesso che se non c\u2019\u00e8 il talloncino rossa, o non so bene che colore sia, anche se ne avevi bisogno, non si poteva assumere. C\u2019era il libretto di lavoro, parliamo sempre dei tempi addietro, ma non il libretto delle marchette che veniva poi richiesto, si applicavano le due lire, uno e cinquanta a seconda della paga settimanale e dell\u2019et\u00e0 del ragazzo o della ragazza.<\/p>\n\n\n\n

    Differenze di retribuzione tra copertieri e tessitori<\/em><\/p>\n\n\n\n

         I tessitori a mano che facevano le coperte a mano avevano una buona paga in quanto che erano dei tecnici, avevano il loro telaio, lo conoscevano, i piccoli guasti se li aggiustavano da loro e poi era un lavoro abbastanza faticoso, stavan bene, prendevano delle belle paghe, sempre comparate al costo della vita di allora. Poi c\u2019era una grana, in caso di crisi, in caso di mancanza di lavoro in quanto che  il lavoro era pi\u00f9 che altro stagionale, verso la primavera c\u2019era molta richiesta verso l\u2019estate meno, allora nei periodi di calma o di stasi, c\u2019era una cosa che chiamavano la faita<\/em>, sarebbe lo short time<\/em>  in inglese, ma dato che era un lavoro a cottimo e non a ore, non si poteva dire ti do un lavoro a ore; si diceva all\u2019operaio: lavora per tante lire alla settimana, quando hai raggiunto quei metri, lo rendi ed io ti pago ma non farne di pi\u00f9 perch\u00e9 dovrei riempire il magazzino e non sapr\u00f2 quando far\u00f2 poi fuori le coperte. Con lo stesso telaio si facevano diverse misure delle coperte, quelle pi\u00f9 piccole e quelle pi\u00f9 grandi; una volta fatte, sono fatte, non \u00e8 che si potevan aggiungere o cucire una con l\u2019atra, allora bisognava avere sempre l\u2019assortimento e allora c\u2019era la faita<\/em>, cos\u00ec per questa settimana o per due settimane tu devi solo fabbricare e rendere quanto necessario per raggiungere la tal cifra, quando hai fatto quello, vai a spasso e aspetti la settimana dopo, puoi anche farne di pi\u00f9, lo renderai la settimana dopo; cos\u00ec avevano stabilito per evitare il sovraffollarsi delle rimanenze in magazzino. I copertieri che avevano il telaio in casa, lavoravano in casa, ma gli altri lavoravano in ditta dove ogni operaio aveva il suo telaio. Gli operai che lavoravano a casa erano quelli che avevano magari avuto il telaio in regalo o a buone condizioni di acquisto dal proprio datore di lavoro che li aveva rimpiazzati con il telaio meccanico <\/p>\n\n\n\n

    La festa del luned\u00ec dei copertai<\/em><\/p>\n\n\n\n

         Quasi tutti i copertai, anche i pi\u00f9 morigerati, il luned\u00ec era una coda della domenica; al sabato venivano a rendere, a prendere i soldi, la domenica andavano a giocare alle bocce in campagna e il luned\u00ec ancora, lavoravano in fabbrica ma eran liberi, nel senso che, dato che eran pagati al metro, se facevano meno metri, meno soldi prendevano. Se mi ricordo qualche episodio? Mi diceva una volta mio padre che era andato un marted\u00ec a vedere dove c\u2019erano i telai degli uomini ed eran l\u00e0 seduti che facevano la frittata con le uova, ed era marted\u00ec gi\u00e0, gli dissero na veul, na veul?a veul favor\u00ec?<\/em> Ah no no, ma ricordatevi che dovete anche lavorare<\/em>. I copertieri lavoravano dal luned\u00ec al sabato, per\u00f2 lavoravano quando volevano, quando ne avevan voglia; in una giornata lavoravano dalle otto alle dodici e dalle due alle sette, nove ore, quattro al mattino e cinque al pomeriggio. L\u2019orario era stabilito ma loro, dato che erano a cottimo, andavano, venivano, piantavano l\u00ec, son rimasto senza spole, devo aspettare che me le portino, andavo a casa. C\u2019erano due lavori: i telai delle coperte erano a cottimo, i telai meccanici delle ragazze erano anche loro a cottimo ma non potevano andare via quando volevano perch\u00e9 quando c\u2019era il motore attaccato che faceva funzionare tutti i telai, loro dovevano essere l\u00ec, non potevano andarsene; i copertai lavoravano sui telai a mano, quei telai di legno, grossi, enormi alti quattro metri e larghi quattro, la navetta scorreva con le rotelle sotto, andava a finire di l\u00e0, poi tornava, le navette erano due, si alternavano, c\u2019era una trama grossa e una fina, quella grossa riempiva, quella piccola teneva unito tutto insieme, era un lavoro che bisognava fare attenzione a non sbagliare, lavorare in piedi con i pedali; un pedale era il telaio pi\u00f9 semplice, gli altri telai un po\u2019 pi\u00f9 complicati, avevano due pedali, era tutto combinato piedi braccia e testa, era un lavoro interessante. <\/p>\n\n\n\n

    Tra padroni e operai<\/em><\/p>\n\n\n\n

         Tra datori di lavoro e operai c\u2019erano rapporti molto cordiali, c\u2019era paternalismo, non che il padrone trattasse male, no no, il padrone era un padre per gli operai, si interessava per i figli, anche solo a parole,  e b\u00e8n, come sta tuo figlio, \u00e8 stato promosso?, quell\u2019interessamento che creava affiatamento tra datore di lavoro e prestatore d\u2019opera, poi dopo quando si sposava si faceva il regalo, quando comperava un bambino si faceva un piccolo regalino per il bambino, cosette che non son niente ma contano nell\u2019affiatamento nella vita, eh s\u00ec! Episodi di contrasto? Quando c\u2019era qualcosa da dire, e b\u00e8n, me ne vado, non c\u2019era bisogno \u2026.<\/p>\n\n\n\n

         Della mia fabbrica non ho pi\u00f9 niente, nessuna fotografia, la ditta si \u00e8 chiusa, poi si \u00e8 chiusa anche l\u2019altra, avrei avuto del materiale molto interessante per la mostra che tentiamo di fare.<\/p>\n\n\n\n

    Gli operai che avevano il telaio in casa: ci lavorava il capofamiglia, la moglie faceva le spole, non avevan da perdere il tempo a mandare il ragazzo a portare le spole al padre ma lavoravano forse meno a casa, sa, in fabbrica insieme agli altri forse non osavano farsi vedere pigri, a casa invece, io sono stanco; non ho mai visto nessuno che dicesse a casa mia lavoro pi\u00f9 che in fabbrica, ma io non so niente di preciso.<\/p>\n\n\n\n

    Note per la trascrizione<\/em><\/strong>: Intervista raccolta da Cesare Matta al sig. Marco Vastapane nell\u2019anno 1978, audioregistrata su nastro, in preparazione di una mostra sul tessile a Chieri. Avendo recuperato il nastro, ho cercato di trascrivere il testo il pi\u00f9 fedelmente possibile, mantenendo il tono colloquiale della narrazione, con alcuni arrangiamenti sintattici e lessicali; non ho riportato le domande, ho talvolta adattato la risposta alla domanda posta in modo che risulti chiaro l\u2019argomento trattato. I sottotitoli in corsivo sono miei. Durata dell\u2019intervista: un\u2019ora circa. Non emergono n\u00e9 la data precisa n\u00e9 il luogo dell\u2019intervista, a parte un 19 luglio all\u2019inizio non meglio precisato<\/em>.<\/p>\n\n\n\n

                                                                    A cura di Alessandro Crivello \u2013 Poirino aprile 2013.<\/p>\n\n\n\n

    MARIANNA GAMBINO MUSSO (1916-20.?)<\/strong><\/p>\n\n\n\n

    Quand r’aso a brajava, surt\u00eco tui ans\u00e8ma <\/em><\/p>\n\n\n\n

         Quand r’aso a brajava, surt\u00eco tui ans\u00e8ma<\/em> (quando la sirena suonava, uscivamo tutti insieme). Questo sembra essere uno dei ricordi pi\u00f9 nitidi di Marianna Gambino in Musso, una teen ager<\/em> prossima ai novant’anni (classe 1916), della propria esperienza di operaia durata circa due anni presso la fabbrica tessile Vastapane di Poirino, meglio conosciuta come il Fabbricone. <\/p>\n\n\n\n

         Ho iniziato a lavorare nella primavera del 1928, non avevo ancora compiuto i 12 anni, fui addetta alla predisposizione delle spole per le ricamatrici. Nel Fabbricone c’era un reparto riservato al ricamo: si entrava attraverso la scala maggiore che d\u00e0 su via Indipendenza (allora si chiamava via Vittorio Emanuele); al piano superiore vi erano dei macchinari per il ricamo ed una sezione per la rifinitura a mano: si facevano centrini, si ricamavano tendaggi. Nell’ala del Fabbricone antistante via Vittorio c’erano gli uffici della Ditta e la Banca Privata dei Vastapane, all’angolo con via Verdi. <\/em><\/p>\n\n\n\n

         Ero stata avviata a quel lavoro dal sig. Ramella, il direttore della Sezione Ricami, che abitava in una villa ai Cappuccini; quando lui era fuori per lavoro, tenevo compagnia alla moglie, mi consideravano la loro “cita”. In fabbrica facevo anche delle commissioni per conto del sig. Ramella.<\/em><\/p>\n\n\n\n

         Della fabbrica conservo pochi ricordi, ero troppo piccola. Veramente ero gi\u00e0 stata nel cortile del Fabbricone prima ancora di andarci a lavorare: nel giorno in cui ricevetti la Cresima fu collocata la statua della Madonna Immacolata, statua che ora si trova all’Istituto Geriatrico. Ricordo che al piano terra vi erano i grandi telai per la tessitura delle lenzuola di cotone; si lavorava sei giorni la settimana, il mattino dalle otto a mezzogiorno, il pomeriggio dalle due alle sei; facevamo per\u00f2 il “sabato inglese”, cio\u00e8 il sabato lavoravamo solo di mattina. Il lavoro era scandito dal suono della sirena che noi scherzosamente chiamavamo “r’aso”: si trovava sull’abbaino dell’edificio antistante via Vittorio Emanuele, forse l’impianto c’\u00e8 ancora adesso.<\/em><\/p>\n\n\n\n

         Nel febbraio del 1930 (se mi ricordo bene), il Fabbricone chiuse improvvisamente, vi lavoravamo circa in 150 in quel momento, fummo tutti lasciati a casa, compresi i capi. Fu allora che ancora una volta la mia capa Michin-a mi aiut\u00f2, mi indirizz\u00f2 alla famiglia Maina in corso Fiume a fare la donna di casa, ma questa \u00e8 una storia che ho gi\u00e0 raccontato <\/em>.<\/p>\n\n\n\n

         Voglio ancora aggiungere un ricordo: in quegli anni tutte le famiglie poirinesi avevano dei telai a mano in casa; li tenevano nella cantina o nello storm <\/em>(il ripostiglio), in genere avevano un telaio grande per le lenzuola ed uno pi\u00f9 piccolo per gli asciugamani. Le famiglie lavoravano per conto delle ditte che fornivano il subbio con il filato; consegnavano quindi le pezze di tela che venivano pagate a misura.<\/em><\/p>\n\n\n\n

    Testimonianza raccolta il 29 luglio 2005 nell’abitazione in via Tavolazzo.<\/p>\n\n\n\n

    A cura di Alessandro Crivello<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

    a cura del prof. Crivello Un grande opificio tessile per oltre mezzo secolo di attivit\u00e0      Il tessile storico poirinese \u00e8 identificabile in due serie di opifici ed attivit\u00e0: una dozzina circa di ditte artigianali o poco pi\u00f9 ormai tutte chiuse ad eccezione di una, ed IL FABBRICONE, un grande opificio attivo negli ultimi decenni dell\u2019Ottocento […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":0,"parent":0,"menu_order":0,"comment_status":"closed","ping_status":"closed","template":"","meta":{"footnotes":""},"_links":{"self":[{"href":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/wp-json\/wp\/v2\/pages\/54"}],"collection":[{"href":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/wp-json\/wp\/v2\/pages"}],"about":[{"href":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/wp-json\/wp\/v2\/types\/page"}],"author":[{"embeddable":true,"href":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/wp-json\/wp\/v2\/users\/1"}],"replies":[{"embeddable":true,"href":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/wp-json\/wp\/v2\/comments?post=54"}],"version-history":[{"count":2,"href":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/wp-json\/wp\/v2\/pages\/54\/revisions"}],"predecessor-version":[{"id":63,"href":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/wp-json\/wp\/v2\/pages\/54\/revisions\/63"}],"wp:attachment":[{"href":"http:\/\/80.211.238.222\/wp-poirino\/index.php\/wp-json\/wp\/v2\/media?parent=54"}],"curies":[{"name":"wp","href":"https:\/\/api.w.org\/{rel}","templated":true}]}}